giovedì 23 maggio 2013

LA VIA DEL TANTRA


Ogni volta che vedo apparire un nuovo manuale “tantrico” in libreria, mi convinco sempre più che stiamo sprofondando davvero nell’oscurità del Kali-Yuga, l’epoca di massima decadenza umana sotto il segno della terribile dea Kali. Come indicato negli antichi testi indiani, sarebbe infatti questo il periodo in cui all’uomo non è concessa altra via di conoscenza e riscatto fuorché mediante il suo stesso corpo, dal momento che le condizioni opportune per valorizzare le risorse intellettuali o meditative si sarebbero storicamente estinte. Al contrario, le forze primordiali, istintive, animalesche, sarebbero completamente sciolte da qualsiasi principio di determinatezza, pronte per essere affrontate secondo la formula del “cavalcare la tigre”: assumere e trasformare gli aspetti nocivi in positivi, fare del veleno un farmaco. Con tutte le inevitabili conseguenze che questa massima presuppone: vincere il disgusto, infrangere la legge, spingersi al di là del lecito, purché non ci si lasci sopraffare dalla lussuria. Shiva è pronto a punire con la follia chi trasforma il mezzo in fine.
    
Prima di divenire un fenomeno editoriale al limite del kitsch, il Tantra – che alla lettera significa “sviluppo”, “es-posizione” - ha rappresentato però una delle correnti più rivoluzionarie della controcultura indiana. Rielaborando in modo sincretico aspetti della spiritualità proto-australoide, dravidica e ariana, a cavallo fra il I e il VI secolo d.C. è riuscito a minare l’ordine imperante delle caste, a restituire dignità sociale alla donna, ma soprattutto a liberare l’uomo dagli esiti mortificanti delle pratiche di trascendenza. Il tutto, attraverso la sottomissione del caotico pantheon indiano alla figura originaria di Shiva, il dio senza natali, selvaggio e mutevole, ai limiti dell’ermafroditismo, inestricabilmente legato al suo femminino dormiente, l’energia shaktika. 

Il tantrismo non è dunque comprensibile senza penetrare il complesso rapporto d’interdipendenza della coppia divina Shiva-Shakti, che sul piano metafisico simbolizzano in realtà l’essere e il divenire, il principio determinante e la potenza agente. Contro ogni forma di culto esteriore, ritualismo o meditazione alienante, il tantra fa del corpo il tempio immanente della divinità. 

Scavalcandone a pié pari l’intricatissima cosmologia e la meticolosa tecnica erotica, almeno per il momento, non è però possibile sorvolare sul principio che maggiormente lo distanzia dall'approccio   etico e gnoseologico occidentale: l’estasi, l’uscita da sé. L’adepto tantrico non deve temere di smarrire il proprio io, o di annullarlo, ma deve perseguire proprio quest’obiettivo. Usando il corpo, e nella fattispecie il potere di un orgasmo oltremodo dilatato, al fine di liberarsi dalla dimensione spazio-temporale, possiede già in sé la chiave per accedere allo stato divino. In ultima istanza, un Io cosmico (ma questo stesso linguaggio rivela la sua intrinseca limitatezza) che da sempre abita in noi, vibra in noi come nella più infima particella dell’universo, ma che non riusciamo ad avvertire per via delle onde disturbanti del manas (inteso come qualunque tipo di supporto/organo percettivo l’epigenetica voglia di volta in volta dipingerci) in rapporto ai tanmatra, le potenze qualificanti della realtà sensibile. 

Anziché accordarci all’universo, finiamo inevitabilmente per ritagliarlo in un mondo, per rappresentarlo dalla prospettiva limitata dell’io individuale. Troviamo allora il modo di mettere il manas in epoché, in sospensione, e insieme a William Blake potremo finalmente dire: “ogni cosa apparirebbe come’è: infinita”. Purtroppo far atrofizzare il cervello non funziona. 

mercoledì 22 maggio 2013

L'ERA DEL SEX DISCOUNT


Il conto alla rovescia ha preso avvio ieri mattina. Con strilli e urletti in prima pagina, il Giornale di Carate ha dedicato un articolo insolitamente ampio al lancio di un dvd porno amatoriale in Brianza: nessuna prestazione da guinness in vista, ma certamente attori cui riservare un occhio in più. Protagoniste sono infatti tre coppiette scambiste appena celate da una maschera sul viso, per quanto le stesse abbiano già svelato di provenire dal triangolo dei Comuni più bigotti della Brianza. Carate, Giussano, Besana. Insomma, i vicini di casa che ciascuno potrebbe improvvisamente riconoscere, tutti allegri trentenni. 

Addio star siliconate e registi perversi! La crisi ha colpito a morte persino il mondo della pornografia e Michela Marzano avrà sicuramente di che scrivere nella prossima edizione del suo saggio su “La fine del desiderio”. Dopo aver tirato troppo la corda, il cinema a luci rosse è costretto a ripiegare: “si tratta di prodotti di nicchia – ammette il responsabile della Valentino produzione, Marco Galimberti – poiché esiste un mercato che vuole video porno dal sapore amatoriale, interpretati da italiani che non lo fanno per soldi, ma per piacere. (…) il loro scopo è fondamentalmente quello di divertirsi”. 

Parlare di nicchia è oggi riduttivo: la ricerca della “verità” del sesso si è fatta talmente accanita, che vedere non basta più. Si ha bisogno di credere. Ci si aggrappa disperatamente a qualcosa che possa rendere ancora umano quanto esibisce solo cieca coazione. Se negli anni ’70 il mercato del piacere aveva infatti lasciato intendere che sarebbe stato necessario solo denudare il desiderio, al giro di boa del decennio successivo il corpo era già di troppo: “la pornografia contemporanea – evidenzia proprio la Marzano – propone una sovraesposizione dell’atto sessuale, con l’obiettivo di eliminare qualsiasi barriera tra l’interno e l’esterno del corpo”. Si cerca spasmodicamente quello che è stato definito come il “piacere speleologico”, una curiosità endoscopica che Jean Baudrillard riconduce ai giochi dei club giapponesi, dove i clienti possono guardare nella vagina delle ballerine per “scoprire il segreto delle loro viscere”. 

Dall’hard si viene risucchiati nell’ultra-hard: introduzione di oggetti a livello vaginale e anale, doppia penetrazione, sadomasochismo, scatologia, zoofilia, stupro, necrofilia. Un iperrealismo che, alla lunga, non può fare a meno di trasformarsi in ricerca della trasparenza totale, nell’attraversamento del corpo ormai privato di qualsiasi riferimento alla sua materialità: sia come soggetto, che come oggetto. Di un fuori e di un dentro, appunto. Un’ “allucinazione del dettaglio” che illude l’uomo circa l’assenza di segreti nell’invisibile della carne. 

Ma è un granchio colossale: “la pornografia contemporanea pretende di cancellare l’angoscia e, attraverso l’occultamento del mistero della carne, nega che le cose possano avere un fondo sconosciuto”. Volendo fare luce sull’origine del mondo, non solo profana il corpo, ma destabilizza pure il soggetto per via della sua sete d’onnipotenza conoscitiva. Il ritorno all’amatoriale, a una verità più accessibile e familiare, non è però la soluzione giusta: senza dubbio ha il pregio di liberare parzialmente il sesso dai meccanismi coercitivi dell’economia di mercato, ma ci riconsegna ostaggi dell’identità: di nuovo si torna al rapporto di scambio fra soggetto e oggetto, nel tentativo di ricostruire un nuovo io. Un io, però, sminuito. Banale. Addomesticato. Neppure in grado di pensarsi perfettibile. 

Ma il problema è proprio questo: come trascendere il nostro io, senza perdere noi stessi? Figlia di una classicità non ancora emancipata dal proprio eurocentrismo, la Marzano pensa che al di là del limes si annidino solo passioni barbare e distruttrici. Così facendo, ci abbandona però sul ciglio del precipizio.    

martedì 21 maggio 2013

POLARITA' DELL'EROS


Sesso è una parola magnetica. Comunque la si pronunci, in qualsiasi modo la si scriva, immancabilmente riesce a strappare qualche prezioso secondo nell’affaccendata vita di ciascuno di noi. Deve averlo compreso molto bene un ottico di corso Buenos Aires a Milano, che non pago di aver impilato decine di montature d’occhiali in vetrina, ha appeso pure un inspiegabile volantino: “DONNA e UOMO, di qualunque SESSO siate, potete trovare QUI attenzione”. 

I più frettolosi sono anche quelli che hanno  dipinto per primi un’espressione di larvata stizza, essendosi probabilmente soffermati sulle sole lettere in stampatello maiuscolo: DONNA, UOMO, SESSO, QUI. Insomma, pur senza ammetterlo, sfrecciando sul marciapiede devono aver pensato in qualche modo che, oltre quella vetrina, si celasse qualcosa di pruriginoso. La nota più affascinante, però, interessa i telefonino-dipendenti, strani automi che si aggirano per strada, in metropolitana, nei bar o in chiesa, articolando solo due o tre dita sul display della propria protesi, senza mai alzare la testa, ma intralciando non poco il traffico urbano. L’unico contro-sortilegio capace di spezzare la loro ipnosi, putacaso, si è rivelata una volta ancora quella parola in stampatello: SESSO. Percepita appena con la coda dell’occhio, fastidiosamente scritta fuori formato, in bella mostra là dove nessuno se la sarebbe aspettata. 

Nei mesi scorsi avevo subodorato qualcosa di simile attraverso l’annuncio di un ciclo d’incontri sul rapporto fra sesso e filosofia, in programma a Biassono: picchi di visualizzazione del calendario degni di uno show di Benigni, “like” ripetuti in Facebook, un folto pubblico di potenziali spettatori, d’età variabile fra la prima polluzione e la menopausa. E poi i messaggi clandestini nella mail privata: “di che si tratta, ESATTAMENTE?”. “E’ un corso che dà consigli?”. “Sono solo lezioni orali o si vedono anche immagini?”. Ho risparmiato risposte sarcastiche. 

Terzo e ultimo esempio: lascio circolare fra conoscenti l’ultimo numero della rivista Africa. I servizi intriganti sono come sempre numerosi, però quasi tutti tentennano dopo poche pagine: un reportage sui furti di pene nel Golfo di Guinea strappa smorfie che vanno ben al di là del lecito. Mi sono allora tornate in mente le parole del barone Julius Evola, quando scriveva nella Metafisica del Sesso: “Né il finalismo biologico, né l’impulso genesiaco, né l’idea staccata del piacere come fine spiegano l’eros. Di là da tutto ciò, questo deve essere considerato come lo stato determinato direttamente dalla polarità dei sessi, alla stessa guisa che la presenza di un polo positivo e di un polo negativo determina il fenomeno magnetico e tutto quanto ha relazione con un campo magnetico”. E ancora: “Col frequentarsi anche senza contatto di individui dei due sessi si desta, nell’essere più profondo di entrambi, una speciale energia o “fluido” immateriale, detto tsing. Questo deriva dalla polarità dello yin e dello yang, (…) principi puri della sessualità, del femminile e del maschile”. Tema lambito pure dalla Storia della Sessualità di Michel Foucault, ma lasciato presto cadere per via della sua attenzione maggiormente focalizzata sull’uso dei piaceri. 

Ecco, da qui mi toccherà prendere le mosse e dare carne a questo blog, interrotto pensando che le domande sarebbero sopraggiunte durante incontri faccia a faccia, finendo invece per essere rivolte attraverso la comoda maschera della dissimulazione. No, no. Non funziona così, cari lettori: se questa società ci chiede di esibire tutto, ripaghiamola allora con la stessa moneta. Vedrete che inizierà a tremare.