Il conto alla rovescia ha preso
avvio ieri mattina. Con strilli e urletti in prima pagina, il Giornale di Carate ha dedicato un articolo insolitamente ampio al lancio di un dvd porno
amatoriale in Brianza: nessuna prestazione da guinness in vista, ma certamente
attori cui riservare un occhio in più. Protagoniste sono infatti tre coppiette
scambiste appena celate da una maschera sul viso, per quanto le stesse abbiano
già svelato di provenire dal triangolo dei Comuni più bigotti della Brianza.
Carate, Giussano, Besana. Insomma, i vicini di casa che ciascuno potrebbe
improvvisamente riconoscere, tutti allegri trentenni.
Addio star siliconate e
registi perversi! La crisi ha colpito a morte persino il mondo della
pornografia e Michela Marzano avrà sicuramente di che scrivere nella prossima
edizione del suo saggio su “La fine del desiderio”. Dopo aver tirato troppo la
corda, il cinema a luci rosse è costretto a ripiegare: “si tratta di prodotti
di nicchia – ammette il responsabile della Valentino produzione, Marco
Galimberti – poiché esiste un mercato che vuole video porno dal sapore
amatoriale, interpretati da italiani che non lo fanno per soldi, ma per
piacere. (…) il loro scopo è fondamentalmente quello di divertirsi”.
Parlare di
nicchia è oggi riduttivo: la ricerca della “verità” del sesso si è fatta
talmente accanita, che vedere non basta più. Si ha bisogno di credere. Ci si
aggrappa disperatamente a qualcosa che possa rendere ancora umano quanto
esibisce solo cieca coazione. Se negli anni ’70 il mercato del piacere aveva
infatti lasciato intendere che sarebbe stato necessario solo denudare il
desiderio, al giro di boa del decennio successivo il corpo era già di troppo:
“la pornografia contemporanea – evidenzia proprio la Marzano – propone una
sovraesposizione dell’atto sessuale, con l’obiettivo di eliminare qualsiasi
barriera tra l’interno e l’esterno del corpo”. Si cerca spasmodicamente quello
che è stato definito come il “piacere speleologico”, una curiosità endoscopica
che Jean Baudrillard riconduce ai giochi dei club giapponesi, dove i clienti
possono guardare nella vagina delle ballerine per “scoprire il segreto delle loro
viscere”.
Dall’hard si viene risucchiati nell’ultra-hard: introduzione di
oggetti a livello vaginale e anale, doppia penetrazione, sadomasochismo,
scatologia, zoofilia, stupro, necrofilia. Un iperrealismo che, alla lunga, non
può fare a meno di trasformarsi in ricerca della trasparenza totale,
nell’attraversamento del corpo ormai privato di qualsiasi riferimento alla sua
materialità: sia come soggetto, che come oggetto. Di un fuori e di un dentro,
appunto. Un’ “allucinazione del dettaglio” che illude l’uomo circa l’assenza di
segreti nell’invisibile della carne.
Ma è un granchio colossale: “la
pornografia contemporanea pretende di cancellare l’angoscia e, attraverso
l’occultamento del mistero della carne, nega che le cose possano avere un fondo
sconosciuto”. Volendo fare luce sull’origine del mondo, non solo profana il
corpo, ma destabilizza pure il soggetto per via della sua sete d’onnipotenza
conoscitiva. Il ritorno all’amatoriale, a una verità più accessibile e
familiare, non è però la soluzione giusta: senza dubbio ha il pregio di liberare
parzialmente il sesso dai meccanismi coercitivi dell’economia di mercato, ma ci
riconsegna ostaggi dell’identità: di nuovo si torna al rapporto di scambio fra
soggetto e oggetto, nel tentativo di ricostruire un nuovo io. Un io, però,
sminuito. Banale. Addomesticato. Neppure in grado di pensarsi perfettibile.
Ma
il problema è proprio questo: come trascendere il nostro io, senza perdere noi
stessi? Figlia di una classicità non ancora emancipata dal proprio
eurocentrismo, la Marzano pensa che al di là del limes si annidino solo
passioni barbare e distruttrici. Così facendo, ci abbandona però sul ciglio del
precipizio.
Trasporto ci vuole sentimento Almenno se non un'antico romanticismo
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